Il sale è uno dei condimenti più conosciuti e utilizzati nelle cucine di tutto il mondo. Due sono le tipologie di sale più diffuse:
sale marino: si ottiene per evaporazione dall’acqua del mare in appositi stabilimenti chiamati saline e viene poi opportunamente raffinato per eliminarne le impurità;
salgemma o sale di rocca: viene estratto dalla roccia, ovvero dalle miniere di sale, e perlopiù non necessita di raffinatura perché privo di impurità.
Dal punto di vista del gusto questi due tipi di sale non si differenziano molto e sono pressoché sovrapponibili. La differenza sta nella presenza di iodio, elemento chimico che nell’organismo umano favorisce il funzionamento del metabolismo e della tiroide: mentre, infatti, il sale marino risulta essere impoverito di iodio perché perde gran parte di questo elemento chimico durante il processo di raffinatura per l’eliminazione delle impurità, il salgemma è invece cloruro di sodio allo stato puro e non ha bisogno di essere raffinato, motivo per il quale è molto più ricco di iodio.
Poiché il consumo di sale può comportare la predisposizione a sviluppare patologie come pressione alta e osteoporosi, se ne sconsiglia l’assunzione a soggetti che soffrono di queste patologie o che hanno familiarità per queste stesse patologie.
In generale, comunque, è bene non superare i 4 grammi di sale al giorno, facendo attenzione soprattutto alla quantità di sale che viene aggiunto ai cibi per renderli più appetitosi, considerato che gli alimenti contengono naturalmente già una certa quantità di sodio.
Diversi sono i benefici che il sodio apporta al nostro organismo quando assunto nelle giuste quantità:
favorisce l’equilibrio dei liquidi;
insieme al potassio contribuisce alla trasmissione degli impulsi elettrici nel cervello;
svolge funzione battericida (se i batteri si trovano in un ambiente ricco di sale, cedono liquidi all’esterno e muoiono disidratati, motivo per il quale il sale viene usato come conservante nei cibi).
Il sale marino iodato favorisce inoltre il funzionamento della tiroide.
Il sale assunto in quantità eccessive può avere diverse controindicazioni:
può aumentare la pressione sanguigna e, di conseguenza, il rischio di sviluppare ipertensione, tanto più sale si consuma, tanto maggiore è il rischio;
può comportare ritenzione di liquidi (il sodio in eccesso che l’organismo non riesce a eliminare rimane nei vasi sanguigni, richiamando acqua e aumentando la ritenzione di liquidi);
può aumentare il rischio di carie e osteoporosi (poiché il sodio stimola il rilascio di calcio dai denti e dalle ossa);
può determinare ipertensione oculare e disturbi della visione (secondo lo stesso meccanismo che porta all’aumento della pressione sanguigna);
può far male allo stomaco (perché il sodio può alterare i meccanismi di protezione dello stomaco, danneggiandone le mucose);
può danneggiare i reni, ovvero gli organi deputati all’eliminazione del sodio (se si assumono quantità eccessive di questo minerale si costringono i reni a un sovraccarico di lavoro per eliminare il sodio in eccesso);
può aumentare il rischio di incorrere nell’ipertensione gravidica (pressione alta in gravidanza), condizione che può a sua volta comportare complicazioni di vario tipo durante la gestazione.
Per questo motivo è importante che chi utilizza una quantità eccessiva di sale ne diminuisca gradualmente il consumo. È una rieducazione alimentare che può avvenire con facilità, perché il palato si adatta facilmente ai cambiamenti di sapori e abitudini.
Per ovviare alla diminuzione o all’assenza di sale nei piatti che si preparano, inoltre, è possibile seguire alcuni semplici accorgimenti che possono aiutare:
leggere bene l’etichetta, scegliendo prodotti a basso contenuto di sale, cioè inferiore a 0.3 g per 100 g;
utilizzare le spezie, erbe aromatiche, succo di limone o aceto che possono sostituire il sale per insaporire ed esaltare i cibi;
utilizzare meno condimenti contenenti sodio come dadi da brodo e salse;
fare a meno di prodotti confezionati ricchi di sale (snack salati, patatine in sacchetto, alcuni salumi e formaggi, cibi in scatola);
evitare il sale nelle pappe del bebè, almeno per il primo anno di vita;
provare a mangiare senza sale, ci vorranno poche settimane, è come abituarsi a bere il caffè senza zucchero.
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