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Accumulatori seriali: cos'è la disposofobia?

Aggiornamento: 2 ott

Non sempre lasciare andare oggetti, ricordi e persone è facile.

Vi sono casi in cui questa difficoltà diventa disfunzionale al punto da tradursi in una tendenza patologica nota come disturbo da accumulo o disposofobia.

Tenere cose per sé è completamente normale, così come collezionare o accumulare oggetti e ricordi. Vi sono casi in cui, però, questo atteggiamento diventa patologico, ovvero quando il bisogno di acquisire questi beni si traduce in una pesante limitazione delle attività di tutti i giorni, a partire dall’igiene, alla pulizia degli spazi, al riposo.

Chi soffre di disposofobia tende ad accumulare senza freni, e non sembra curarsi del fatto che l’accumulo stesso riduca o persino impedisca di girare per casa. 

Nei casi patologici di compulsione di accumulo si sviluppa la paura di buttare via ciò che si colleziona. Vi è la tendenza a ripetersi che ogni cosa potrebbe rivelarsi utile un domani, perché potrebbe accrescere il proprio valore economico o affettivo. 

Il rischio principale del rimanere vincolati a oggetti, situazioni e ricordi accade quando questo riduce lo spazio per le occasioni future. 

I soggetti che hanno un disturbo da accumulo percepiscono un forte attaccamento emotivo nei confronti di oggetti, e avvertono il bisogno di mantenere una presunta forma di controllo su di essi, tanto da non accettare che nessuno li tocchi o li butti. Solo il pensare a cosa eliminare, in queste persone, genera ansia e angoscia.

Il passaggio dal pensiero all’azione di fatto non viene mai attuato, sia per il timore di prendere la decisione sbagliata, sia per l’incapacità a distaccarsi dagli oggetti, anche se poi vengono abbandonati nel degrado che spesso circonda chi ne soffre. 

Ci possono essere alcuni segnali che i familiari possono notare e che possono essere sufficienti per rivolgersi a uno specialista:

  • presenza di discussioni familiari causate da eccessivi oggetti che generano disordine;

  • eccessiva tendenza a fare scorte;

  • difficoltà nella gestione economica della casa;

  • tendenza alla procrastinazione di comportamenti di riordino;

  • riduzione delle relazioni sociali fino al ritiro. 

Un intervento precoce permette di prevenire l’aggravamento di condizioni cliniche che col tempo possono addirittura arrivare a compromettere il benessere psicologico di una persona e dei propri familiari. 

In caso di un disturbo di accumulo, un intervento esterno, come quello di un convivente che decide di svuotare fisicamente la casa, non risulta utile e, anzi, scatena in chi ne soffre reazioni avverse. 

La terapia cognitivo comportamentale risulta essere il trattamento più utile.

Un buon intervento deve partire dallo sviluppo di una solida alleanza terapeutica tra i soggetti coinvolti, cosa che permetterà di costruire un percorso mirato e con obiettivi condivisi.

Un percorso terapeutico in caso di tendenza all’accumulo ha una serie di vantaggi:

  • permette di intervenire sulle credenze disfunzionali dei pazienti legate all’accumulo;

  • comporta un aumento della consapevolezza di malattia e dei propri comportamenti disfunzionali;

  • ha un ruolo nella gestione e prevenzione dell’impulso all’accumulo;

  • interviene sulle relazioni familiari.


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